Come nascono il metal e il rock duro? Domanda annosa a cui e' possibile dare una risposta piuttosto precisa. E' inevitabile tuttavia parlare innanzitutto della genesi dell'hard rock in senso piu' ampio, e quindi andare a quel periodo compreso fra la fine degli anni '60 e la prima meta' della decade successiva, dove la materia hard'n'heavy viene scolpita e plasmata da una serie di irripetibili artisti (il pioniere assoluto Jimi Hendrix, i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Cream, i crudi Stooges ed MC5, i Black Sabbath, gli Atomic Rooster, gli Uriah Heep, i Grand Funk
Railroad e moltissimi altri) che per quanto diversissimi fra di loro avevano in comune la stessa concezione ad ampio respiro della musica:
rock energico, duro, ad altissimo volume, dalle granitiche chitarre eppure cosi' aperto e ricettivo nei confronti di qualsiasi altro genere musicale (demenziali discorsi sulla "purezza" erano del tutto sconosciuti...) e dominato dal gusto per la sperimentazione e per la struttura aperta della canzone che cosi' si prestava moltissimo ad ulteriori dilatazioni solistiche in sede live. L'ossatura veniva dal rock'n'roll e dal blues, a cui si univa la componente psichedelica e un retroterra culturale legato all'appena trascorsa stagione del flower power (il che portava inoltre a musica dalle vibrazioni positive). Tutte queste erano le caratteristiche comuni alla prima ondata di bands: basta
pensare, per qualche esempio celebre, a "Whole Lotta Love" dei Led Zeppelin col suo riff massiccio e quel cantato passionale che a meta' lascia il passo ad una micidiale esplosione psichedelica dove trovano posto il theramin, chitarre dilaniate, congas, batteria impazzita... oppure a "Speed King" dei Deep Purple, dirompente e maestoso hard rock dal raffinato intermezzo jazzato centrale in cui Blackmore e Lord si scambiano brevi assoli. Per quanto le tematiche fantastiche ed oscure non manchino (Atomic Rooster, High Tide, Uriah Heep) si hanno le prime vere avvisaglie di cio' che sara' il metal vero e proprio grazie a due gruppi su tutti, gli americani Blue Oyster Cult e gli inglesi Black Sabbath. I primi rappresentarono attraverso il loro sofisticato heavy rock dalle mille sfumature un mondo terrificante ed ambiguo, ben poco rassicurante, in cui la quotidianita' (in puro stile lovecraftiano)
nasconde sotto la sua cappa terribili segreti di portata cosmica; i secondi danno vita ad un sound soffocante, violento, nero come la pece e pregno di umori cimiteriali e pessimistici. Entrambi infine segnano uno stacco con la cultura hippy (anche se nei Sabbath alla fine dei conti e' ancora uno stacco parziale), mentre a livello puramente musicale la concezione di base e' sempre quella multiforme e fantasiosa dei grandissimi colleghi. Proprio per questo spirito da jam session che animava molti dei loro pezzi, per i cospicui rimandi a retroterra blues, psichedelici e jazzistici e per sempre presenti riferimenti alla hippy culture i Black Sabbath in particolare ancora non sono propriamente definibili metal.
Per arrivare al metallo vero e proprio pero' bisogna aspettare il 1976, anno in cui un promettente gruppo di Birmingham chiamato Judas Priest pubblica il secondo lp "Sad Wings Of Destiny". Il sound esibito dai Priest in questo album e' qualcosa di nuovo: puro impatto, "la cosa in se'" - sia a livello formale che sostanziale e' questo l'album a cui fare riferimento per comprendere la transizione dall'hard rock all'heavy metal. I brani sono saldamente costruiti attorno a riff duri e taglienti, che evitano di disperdere la potenza sonora a questo punto non piu' mitigata dal blues o da influenze esterne; le ritmiche si fanno piu' dure e lineari, sparisce ogni tendenza improvvisativa, due chitarre si lanciano in fulminati duelli solistici e parti doppiate, l'atmosfera e' gotica ed epica assieme, maligna; il tutto chiaramente sempre all'insegna della melodia. Da notare anche come al "groove" caldo si preferisca una dinamica riff-ritmica piu' secca e affilata, metallica nel vero senso della parola o quasi. E' la chitarra che alla fine domina incontrastata: se precedentemente un solismo che coinvolgeva tutti gli strumenti, o quasi, sfaldava e ampliava la canzone, adesso invece e’ il dispiegamento progressivo dei riff a portarla avanti diventandone cosi’ il baricentro - provate a sentire "Vitim Of Changes" accanto a "Child In Time" per capire la differenza di mentalita' alla base delle due canzoni. E il “sentire” proprio del metal, la sua anima, emerge orgoglioso da questi solchi: quella sensazione indefinibile ma fortissima dove il desiderio di fuga dalla realta’ si fonde con l’inevitabile scontro con essa - le perentorie affermazioni del crudele tiranno di “Tyrant”, le devastazioni apocalittiche di “Genocide” e le torbide visioni di prigionia e sottomissione di “Island Of Domination” ne sono un esempio lampante.
Aggressivita' e potenza, accompagnate da un immaginario adeguato e oscuro, diventano il fulcro attorno al quale la materia hard si ricompatta: musica che frusta ed eccita i sensi, che rompe con gli insegnamenti della prima generazione di band per aprire una nuova strada, tanto odiata dai critici chic... quella del metal!
Ci terrei a fare qualche altra segnalazione, sempre relativa alla seconda meta' dei '70: "Rising" dei Rainbow di Ritchie Blackmore e i Motorhead. Se pure non del tutto un metal album, "Rising" sara' un cardine (oltre che del rock in generale, beninteso) di tutta la fertile corrente epica e leggendaria, soprattutto grazie a brani (decisamente
metallici!) di straordinaria enfasi epica e grandeur orchestrale come "Stargazer" e "A Light In The Black", gravidi di una tensione e di una capacita' di far volare l'immaginazione che ha trovato ben pochi confronti; nel disco sono presenti anche la altisonante e sibillina "Tarot Woman", il blues epico di "Run With The Wolf" e il rock'n'roll
immediato e trascinante di "Starstruck" e "Do You Close Your Eyes".
Blackmore cambia l'orientamente della band rispetto ai Deep Purple imponendo un sound d'insieme, piu' granitico e diretto, con le parti solistiche affidate esclusivamente a chitarra e tastiere.
Infine i Motorhead: il micidiale trio di Lemmy Kilminster viene a sproposito chiamato heavy metal, quando invece si tratta di un gruppo hard rock per svariati motivi. La loro musica e' un cocktail venefico di rock'n'roll, psichedelia, blues e punk assolutamente travolgente, chesacrifica in nome dell'efficacia qualsiasi estetismo. I crudi riff blues
triturati a folle velocita' da Fast Eddie Clark, l'assordante, violentissimo e monotono tandem ritmico, l'orgia di feedback, il tutto sormontato dalla voce catramosa del leader ne fanno l'unico gruppo in grado di mettere d'accordo i fan dell'hard rock con quelli del punk grazie ad una musica oltraggiosissima che mette insieme gli ingredienti di base del primo con menefreghismo e la velocita' del secondo - senza essere definitivamente ne' l'uno ne' l'altro! Anche a livello di immaginario e cultura i Motorhead propendono verso l'epica della strada e dei perdenti, dei vagabondi, dei biker e di una drug-culture a base di anfetamine e mescaline, i prodotti con cui erano soliti sollazzarsi gli Hell's Angels guarda caso... Il loro ruolo chiaramente sara' essenziale.
Infine vorrei far notare come i caratteri di metallicita' pura portati alla luce dai Judas Priest (quelli di una musica rock fortemente chitarristica, aggressiva, energica, estrema, con l'impatto e l'intensita' che esaltano le varie emozioni - non distantissimo, fanno notare alcuni, dallo "sturm und drang" romantico) non saranno fortunatamente immutabili: successivamente avremo gruppi che porteranno avanti l'impostazione classica come gruppi che espanderanno i confini del metallo, al punto che oggi e' un concetto altamente diversificato e multiidentitario. E pensare che i detrattori lo giudicano monotono e tutto uguale... si', come i Saxon e Voivod, identici! Metal e hard rock andranno quindi incontro alle loro inevitabili evoluzioni, influenzandosi a vicenda e rendendo i propri confini sempre piu' ambigui. Sono due stili musicali ovviamente vicini, strettamente imparentati, ma non sono la stessa cosa. Chi dice il contrario pecca di superficialita' o mente!

Niccolo' Carli